Archivi del mese: Maggio 2009

Neanche il fido

Come nella migliore tradizione del giornalismo d’inchiesta, siamo fieri di ricominciare le trasmissioni ospitando un racconto di Genni Attila, il nostro inviato nel cuore sordido del Paese. Enjoy.

E adesso come glielo dici?
Non lo sai, vero? Non ci hai pensato…lo so che non ci hai pensato. Da non crederci…Hai avuto due mesi buoni, non è da te, non è proprio da te. Di solito ti serve molto meno tempo…
Ti ricordi quella dei servizi segreti? Segreti si fa per dire…quella con il marito fissato per Roger Moore, un arrogante burino testa di  cazzo di agente con la cresta alzata…sveglio sul lavoro, però: Ricordi come li aveva beccati? Foto, registrazioni, lettere…addirittura un cazzo di video pronto per la rete con tanto di imbarazzante momento cilecca. Ecco, se quello usciva sarebbe stato un PROBLEMA. E tu? Un quarto d’ora, tre telefonate…tutto risolto. Disinnescato. Un lavoro facile e prestigioso alla moglie, promozione e trasferimento in un posto tranquillo al marito, al cornuto…qualche risatina tra i corridoi, battute da spogliatoio in giacca e cravatta…tutto nella norma, rimasugli gestibili anche da gente meno esperta, meno dotata di te.
Tu hai la testa da formula uno. Pensi veloce, il fatto non è ancora  avvenuto e tu hai già vagliato i possibili accadimenti e le relative soluzioni. Sei il mago del problem solving…che ha la tua testa stavolta? S’è ingolfata? Sarà il caldo, sarà…non ci sei abituato al sole di napoli…
No, lo so io che cos’ha la tua testa: non ti vuole aiutare, stavolta no. Stavolta è troppo.
L’hai capito fin dal primo incontro. L’hai sentito:  quel crepitio stonato, come unghie su una lavagna…sorrisi troppo indulgenti, abbracci troppo calorosi…non sono da lui. Non sono decisamente da lui. Ed è inutile che stai a guardarti allo specchio e ti aggiusti il fazzoletto nel taschino, la soluzione non la troverai nel tuo stile impeccabile.
Devi dirglielo. E devi andare.
Percorri il corridoio con rilassatezza, perchè non vuoi dare nell’occhio: non vuoi trasmettere la sensazione che ci sia qualcosa che non va.
Balle: stai prendendo tempo. Stai soltanto prendendo tempo.
Eppure te la sei immaginata mille volte, questa scena, negli ultimi due mesi. L’hai sognata quasi ogni notte…
…il dottore seduto dietro la scrivania, con le mani incrociate e il camice sudato:
– “C’è stato un problema.”
– “Lei come sta?”
“Lei sta bene.”  E tu ti aggiusti i polsini della camicia, e fissi l’acacia su un vaso posto di fronte a te in un angolo.
“Non è lei il problema” dice il dottore.
“Ah”.

Questa scena. Come è stato viverla davvero, dopo averla tante volte sognata? Il peggiore degli incubi possibili divenuto realtà…cazzo, non poteva gestirla come tutte le altre volte?
Non era la prima ragazza di cui gli aveva detto di occuparsi…Le altre volte era stato facile: un discorsetto di mezz’ora  per convincerle che l’aborto era la soluzione migliore, una consistente somma di denaro e di attenzioni per agevolare il convincimento. Ma stavolta non era stato possibile. Stavolta gli aveva chiesto di seguire la gravidanza al posto suo. Gli aveva chiesto di farla partorire.
Perchè? Non te lo sei chiesto perchè? L’hai vista bene in questi due mesi. L’hai vista vestita con classe e con gli abiti da casa, l’hai vista nuda, l’hai vista vomitare mentre le tenevi la testa…l’hai vista in ogni modo. Carina, maliziosa. Ma niente di speciale. Niente che stimolasse alcunchè: alcun sentimento, alcuna perversione.
E ci hai anche parlato, e non ricordi quello che ti ha detto.  Non c’era niente che valesse la pena ricordare, niente che valesse la pena  ascoltare.
Ma lo sai il perchè: lo hai capito subito…ricordi? Il famoso stridio…ti è bastato guardarlo negli occhi per capirlo. Che sguardo…orgoglioso, come se stesse assistendo a un momento trionfale nella vita del primogenito…e spiritato, come se stesse assistendo  alla massima celebrazione del proprio ego.
Tutta la sua vita è stata una celebrazione del proprio ego. Ed è anche colpa tua. Tu potevi fermarlo. Ti avrebbe dato ascolto. Tu sei il suo consigliere più considerato, il suo aiutante più prezioso. Sei il suo fido. Dovevi fermarlo, per il suo bene, e anche per quello di tutti quanti.
Ma chi poteva immaginare che sarebbe arrivato a tanto? Sì, qualche manifestazione di megalomania era prevista, e anche le varie inevitabili perversioni sessuali di contorno: era stato tutto preventivato.
Poi erano aumentate, le manifestazioni e le perversioni, aumentate, aumentate. Aumentate. E nessuno di voi ha pensato di fermarle. Nemmeno tu. Ma stavolta è troppo.
Il dottore per stare zitto ti ha chiesto 1.000.000 di euro, il doppio di quanto ti aspettavi. Ma è il prezzo giusto, in fondo, anzi…poteva chiedere di più: aveva capito tutto…
“E’ un problema molto raro…”
“Capisco.”
“…raro ed insolito. E’ difficile che accada a soggetti non consanguinei.”
“Una vera sciagura.”
“Per essere più precisi, è IMPOSSIBILE che accada a soggetti non consanguinei.”
Io non ho mai detto che i soggetti non sono consanguinei…
“Non le farò perdere tempo: un milione. Ottocentomila per me, in contanti, e duecentomila per ristrutturare la clinica, mi sta bene anche se ve ne occupate direttamente con una ditta delle vostre…non importa se spendete di meno…basta che sia ben fatta.”
“non le farò perdere tempo nemmeno io: accetto.”

Non dovevi accettare.
Sei davanti alla sua porta. E ti tremano le gambe. Neanche tu hai il coraggio di dargli la notizia. E’ una notizia che non è in grado di dargli nessuno. Manco il fratello, manco la madre…manco tu che sei il consigliere più considerato, manco il fido…solo Don Gianni gliel’avrebbe potuta dare. Don Gianni, il suo confessore di sempre…
Disgraziatamente è morto ieri.
Dunque tocca a te. E adesso come glielo dici?
Ricordi quando hai pensato di fermarlo? Neanche due settimane fa…
Stavate giocando a tennis. Lui ti aveva battuto, come sempre…non c’era stato nemmeno bisogno  di aiutarlo un pò. Era in gran forma…

“Lo sai cosa mi rende così in forma?”
“Non so…Coca?”
“Naahh…la rumba non c’entra, sei il solito vizioso del cazzo. E’ la biologia. Finalmente sto per diventare padre…”
“Ma che cazzo dici?Tu hai già cinque figli…”
“Non capisci” – ha risposto lui – “Questo è diverso. Questo è mio figlio…è tutto MIO.”
In quel momento ci sei andato vicino così a dirgli tutto, ce l’avevi sulla punta della lingua…

“Cristo non puoi fare un figlio con tua figlia! Illegittima per giunta!”
Avresti anche bestemmiato, che dio ti perdoni.
E che dio ti perdoni per non averlo fatto…

Bussi alla porta.
“Avanti.”
Che farai adesso?
Giri la maniglia…
Che intendi fare? Rimani fermo? Accetti anche questa? Cali la testa un’altra volta? Va bene qualsiasi perversione?
“C’è stato un problema.”
Ti guarda fisso coi suoi occhi puntuti. Che farai ora? Che farai? Rispondimi, cristo! Dove vuoi che arrivi prima di fare qualcosa?

Ho deciso: adesso lo uccido.

“Lei?” ti dice con un sibilo.
“No. Il bambino.”
“…morto?”
“No. Deforme.”
“Deforme?”
“Deforme.” – Prendi il tagliacarta d’oro dalla scrivania. “Ha quattro occhi. Uno sull’ombelico.”
“E l’altro?”
“L’altro…è sotto l’ascella destra.”
Afferri il tagliacarta col pugno chiuso.
“Capito. Bene. E quale sarebbe il problema?”
“Cristo, ma mi hai sentito? E’ deforme!”
“E ti sembra una buona ragione per bestemmiare? Va bene, è deforme. E allora? Tanto non si vede…”
“Cosa?”
Ti trema la mano.
“Ombelico e ascella. Che ci vuole a nasconderli?”
“Ma…”
“Va bene così. Portalo in casa mia. Lui e la madre.”
“La gente non capirà…”
Ti frana la mano…
“La gente non capisce mai nulla.”
…lasci scivolare il tagliacarta sulla scrivania.
Lui è troppo forte per te. Cali la testa un istante, ti senti le spalle sottoterra. Alzi gli occhi. Gli sorridi, come hai sempre fatto.
Lui ti ricambia il sorriso, e tu come sempre sei felice di essere suo schiavo. A ciascuno le proprie perversioni…
“E se la gente venisse a sapere?”

E lui, col suo famoso sorriso, dirà:

“Accetteranno anche questo.”

Quello che si dice è falso:

siamo ben vivi, qui.

Mai più soli / 23

E così, dopo lunghe assenze e tribolazioni, vi confermo che sì – siamo vivi, da queste parti, e si ricomincerà a vivere sempre più. Anche così:

soliState a sentire: siamo rimasti in silenzio per un po’. È vero. Ogni tanto ne parlavo con Kurt. “Kurt”, gli dicevo, “stiamo latitando da Radio Onda d’Urto. Kurt”, gli dicevo anche, “forse dovremmo pensare alla prossima puntata. Pensa a quel terremoto, pensa a tutto quello che sta succedendo. Abbiamo un dovere”, gli dicevo, “verso i nostri ascoltatori, e…”
“Zitto e lava”, mi diceva Kurt Vonnegut, il nostro inviato nell’aldilà.
Io provavo a obiettare, “Ma…”
“Lava, ti ho detto”, mi diceva lui. E io lavavo. Sì, avevamo trovato un lavoro da lavapiatti, io, e lui, e alcune altre vecchie conoscenze della trasmissione, Toti Scialoja, Janice Joplin, pure il vecchio Haider. Ci siamo messi per un mesetto a lavare i piatti, perché dovevamo finanziare l’acquisto di nuove apparecchiature. “Certo”, diceva Janice, sciacquando una scodella, “se arrivassero più abbonamenti tutto questo non sarebbe necessario. Le mie mani sono tutte grinzose”. Era vero, erano tutte grinzose.
“Lava”, le diceva Kurt, e Janice lavava.
Comunque. Adesso abbiamo finito, con uno sforzo collettivo, di pagare le prime rate, e possiamo tornare in trasmissione. Che cosa abbiamo comprato? Abbiamo comprato una specie di prolunga per lo Hooligan, il telefono che mette in comunicazione con l’aldilà inventato da Kurt Vonnegut. Ha una forma allungata, e quando è buio luccica. Serve a parlare con gli animali, che riempiono l’aldilà molto più di noi, e finora sono stati in silenzio. La ditta che ce lo ha fornito è controllata dalla Chrysler, quindi probabilmente chiuderà. Ma non ci ha fatto lo sconto.
Quando è arrivata Kurt l’ha spacchettata con molta ansia. Haider voleva usarla per chiedere ai pastori tedeschi se si sentono superiori ai pastori maremmani. Janice voleva usarla per chiedere agli uccelli se John Lennon aveva ragione sulla libertà, o se ce l’aveva lei. Kurt voleva usarla per chiedere informazioni sul senso della vita ad una famiglia di ramarri. Ma nessuno l’ha usata, perché sul più bello sono arrivate alcune persone, due uomini, una donna e tre bambini. Erano molto sporchi, sembravano desolati. Il sangue gocciolava ancora dalla camicia di uno di loro.
Kurt si è detto che una coincidenza del genere doveva significare qualcosa, e si è avvicinato per intervistare la donna. Uno degli uomini, però, si è messo in mezzo e ha preso la parola. Era grosso, panciuto, con una striscia volacea lungo il collo. “Sono David Kellerman”, ha detto David Kellerman. “Chiamami pure Dave”.
Kurt lo ha chiamato Dave, e ha scoperto che Dave era il direttore finanziario di una delle più grandi istituzioni bancarie statunitensi, la Freddie Mac. Il suo lavoro, in sostanza, era di garantire i mutui sulla casa di chi non poteva garantirli, per aiutarli a comprarla. Era un po’ come un angelo custode. La Freddie Mac, ultimamente, stava andando molto male, anche se la domanda per gli angeli custodi non era certo diminuita. Però. Dave aveva appena ricevuto un bonus da ottocentomila dollari, ha spiegato, ma non era felice. Non era felice perché il suo lavoro era difficile, e perché la sua casa era assediata da folle di persone che avevano perso la casa. Nessuno aveva garantito il loro mutuo. Non c’erano abbastanza angeli custodi sul mercato.
“Mi lanciavano le pietre”, ha spiegato Dave. “Le lanciavano ai miei bambini. C’erano dei pullman turistici che li portavano di fronte alle case di chi era ricco e non li aveva aiutati.” La casa di Dave, ci ha spiegato, era una tappa fissa.
Dave aveva 41 anni, e si è suicidato impiccandosi in garage, più o meno una settimana fa. L’enorme istituto che dirigeva stava fallendo. Kurt gli ha chiesto di quale crimine si ritenesse colpevole, tanto da meritare quella fine. “Ancora nessuno”, gli ha detto Dave, “ma presto mi sarei macchiato del più grave di tutti”. Quando Kurt gli ha chiesto quale, Dave ha esitato un po’.
“Sarei diventato povero”, ha detto poi.

Ma nel frattempo, la prolunga animale dello Hooligan era stata montata, e tutti erano molto ansiosi di provarla. Per trovare il primo animale da intervistare è bastato ripensare alle notizie del giorno. Si parlava molto di una malattia messicana, che rischiava di fare agli uomini quello che di solito si facevano da soli, e cioè di sterminarli. Era una malattia ereditata dai maiali.
Kurt ha visto un gruppetto di maiali in lontananza, e si è avvicinato con la prolunga per intervistarli. Chissà se avrebbe funzionato, magari i maiali non avevano molto da dire a riguardo. Kurt ha chiesto al maiale che aveva di fronte se avesse sentito parlare della febbre suina.
“Sì, ne ho sentito parlare”, ha risposto il maiale.
“E cosa ne pensi?”, gli ha domandato Kurt. “Non ti senti un po’ in colpa? Insomma, sono già morte più di duecento persone, potrebbero morirne a migliaia, a decine di migliaia. Non ti viene niente da dire, a riguardo?”
Il maiale ha grugnito un po’, senza parlare. Si è consultato con un maiale molto sottile che aveva accanto. Poi, ha risposto. “Sai, Kurt”, ha detto. “Io sono morto proprio oggi. Sai quanti membri della mia specie sono morti, oggi?”, ha chiesto. Kurt non lo sapeva. “Poco più di un milione”, ha risposto il maiale. “Di questi, più o meno sedicimila sono morti di cause naturali. Gli altri, sono morti di malattia. È una malattia violentissima”, ha detto il maiale, “che ti  fa a pezzi e ti trasforma in rotoli di carne sotto teli di plastica. Un tempo era contagiosa, ma oggi è ereditaria. Ce l’hanno tutti i maiali del mondo. Mezzo miliardo di noi muoiono ogni anno di questa malattia. Voi umani, voi non avete un nome per questo, non è la febbre suina, colpisce solo noi.”
“E voi come la chiamate?”, ha chiesto Kurt.
“Noi”, ha detto il maiale, “noi la chiamiamo febbre umana.”

Sì, e poi Kurt ha intervistato l’altro uomo del gruppetto di prima, perché la donna e i bambini erano scomparsi, chissà, andati a dormire. Quell’uomo aveva abitato a poche centinaia di metri da Dave. Dave viveva in un quartiere lussuosissimo di ville, in campagna, ma poco distante dalla periferia più desolata di una metropoli. Era lì che viveva quell’uomo. Anche quell’uomo si era suicidato, la stessa notte di Dave. Si era suicidato perché sarebbe stato senza casa, non era arrivato nessun angelo custode. Prima di morire, però, aveva ucciso a colpi di pistola la moglie, e anche i figli. Kurt non ha avuto bisogno di chiedergli perché, lo sapeva già.
“I miei figli”, ha detto lui, spontaneamente, “i miei figli avevano la stessa colpa che avevo io, e che aveva Dave. Eravamo poveri, e il nostro angelo custode si era suicidato.”

Qui Vincenzo Latronico, dalla periferia nord di Milano, in collegamento telefonico con Kurt Vonnegut, dall’aldilà. Presto un vaccino per la febbre umana.