mucchio selvaggio

ha pubblicato (ormai qualche tempo fa!) una recensione davvero bella di quel libro lì, firmata da Damir Ivic. È questa.

Ginnastica e rivoluzione, di Vincenzo Latronico

E’ solo perché la letteratura è (quasi sempre) un mezzo meno potente del cinema, a livello di riscontro mediatico, e quindi forse Ginnastica e rivoluzione non passerà alla storia e non diventerà il libro da citare ad ogni più sospinto quando si parlerà di determinati argomenti; ma in generale, sappiate che questo romanzo d’esordio del giovane, giovanissimo Vincenzo Latronico (ventitrè anni) vale come qualità e intelligenza e piglio i primi passi cinematografici di Nanni Moretti. C’è infatti la stessa capacità di osservare i miti e riti di sinistra con un misto di lucidità ed affetto, di critica e comprensione. Il tutto chiaramente esercitandosi sul 2008 e non nel 1978. Solo che, capacità di memoria storica o sclerosi della sinistra, molti miti sono rimasti uguali, anzi, noi della contemporaneità siamo messi pure un po’ peggio perché non abbiamo neppure la creatività infantile ma vitale degli anni ’70 bensì dobbiamo direttamente prendere in prestito iconografie sessantottine. Latronico tutto ciò lo descrive benissimo, con una leggerezza solo apparente che è data da un’eccezionale capacità di rendere scorrevole scrittura e dialoghi. Il controllo tecnico sulla trama è sempre ottimo, le digressioni sono sempre funzionali all’insieme. Insomma, un libro veramente bello, capace sia di intrattenere (le trecento pagine volano via in un fiato) che di disegnare un ritratto politico-sociale reale e convincente senza fare né sociologismo, né giovanilismo e risultando tuttavia molto efficace come ritratto sociologico e specchio perfetto di come si muove e pensa una robusta fetta di giovani, quelli che hanno eletto (anche giustamente) a momento fondante il G8 a Genova (Ginnastica e rivoluzione è ambientato temporalmente proprio a ridosso della fine luglio 2001). Interessante infine notare un’ultima cosa: Latronico ha ambientato la sua storia a Parigi. Viene da pensare che in effetti in Italia siamo messi così male che anche i protagonisti italiani di un romanzo scritto da un italiano, se giovani, per essere vitali devono essere sistemati in un posto che sia fuori dai nostri confini.

Damir Ivic

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