Archivi del mese: ottobre 2008

Mai più soli /3

E intanto è andata in onda una nuova, questa.

Ed eccoci di nuovo a Mai più soli, il piccolo box parapsicologico di Flatlandia in cui Kurt Vonnegut ci porta a passeggio nell’alto dei cieli. Non proprio a passeggio, no?, ma forse ve lo ricordate, tramite un telefono speciale, lo Hooligan. Alcuni mi hanno chiesto, dopo la puntata scorsa (in cui avevamo incontrato David Foster Wallace) come si fa a costruirlo. Be’, la cosa più difficile è procurarsi una buona colazione e un acceleratore di particelle, ma a questo ci hanno pensato gli svizzeri.
Insomma, mercoledì scorso Kurt stava guardando una partita a Mah-hong un po’ disturbata dagli schiamazzi di Haider, che era ancora leggermente ubriaco, e a un certo punto è stato avvicinato da un ragazzo. Il ragazzo aveva saputo che lui parlava a una radio in Italia, e voleva chiedergli se poteva mandare un messaggio. “Certo”, ha detto Kurt.
“Grazie”, ha detto Abba.

Quel ragazzo si chiama Abdul Salam Guibre, era un italiano originario del Burkina Faso, aveva diciannove anni, ed è morto poco più di un mese fa all’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Kurt non conosceva la vicenda, e gli ha chiesto come è morto. Ecco cosa ha risposto Abba: “Sono stato ammazzato a colpi di spranga da due uomini, perché erano convinti che avevo rubato dei biscotti. E quegli uomini si chiamano Fausto e Daniele Cristofoli”.

Kurt gli ha chiesto se era a loro che voleva mandare un messaggio. “Oh, no”, ha risposto Abba. “A loro non ho proprio niente da dire”.
No, voleva parlare un po’ della manifestazione che c’è stata a Milano il 20 settembre, in sua memoria, e contro il razzismo. Ne è stato molto commosso, ha detto. Ha anche detto che gli è dispiaciuto non aver conosciuto di persona quasi nessuna delle migliaia di persone che ripetevano il suo nome, ma che era certo che se lo avessero incontrato in metropolitana non avrebbero cambiato vagone.
“È già qualcosa”, ha detto Kurt.
“Qualcosa, sì”, ha detto Abba.
Kurt gli ha chiesto se anche a Milano, come in certe parti del suo paese, ci sono molte persone che a casa hanno le federe dei cuscini con i buchini per gli occhi. Abba non lo sapeva, ma credeva di no. “Sai, Kurt, da noi”, gli ha detto poi, “non serve mascherarsi.”

E insomma, il messaggio di Abba era per i giudici e i giornalisti. Ha saputo che c’è stata un po’ di confusione, che molti avevano protestato perché all’omicidio non era stata data l’aggravante della motivazione razziale. Secondo lui hanno fatto bene, a non dargliela. Ha spiegato che “negro di merda” gliel’hanno urlato solo dopo averlo bastonato, e non prima.
“Sì, e poi”, ha chiarito Abba, “a quanto ho capito non sono razzisti, sono brave persone. Dei razzisti mi avrebbero ucciso per il colore della mia pelle. Loro  no. Loro mi hanno ucciso a sprangate perché avevo rubato dei biscotti. Mica sono razzisti. Sono brave persone.”

Ecco, è tutto. Qui Vincenzo Latronico, al telefono con Kurt Vonnegut, dall’aldilà.
Sì, è proprio tutto.

Cose che sconfiggono la gravitazione terrestre

a) I razzi spaziali

b) il caffé quando ci intingi solo la punta di una zolletta di zucchero, messa in verticale

c) “un sasso che a un certo punto della sua caduta decidesse di impegnare tutte le sue energie per sfuggire alla forza di gravità e, invertendo di colpo la sua rotta, cominciasse a precipitare verso l’alto…”

(la c è di Antonio Moresco, sempre dalle lettere)

anche qui, invece

Cos’hanno in comune Tadini, Volponi, Severino, Sermonti, Maria Corti, Pontiggia, Malerba, Bo, Brodskij, Citati, Zanzotto, Sanguineti, del Giudice, Loi, Vargas Llosa, Lavagetto, Segre e Adonis?

 

Hanno vinto il premio Vailate/Alberico Sala, che quest’anno, nella sezione opera prima, premia quel romanzo che forse conoscete.

 

 

Oh, sì.

Mai più soli /2

Lunedì scorso è andata in onda la seconda puntata di Mai più soli, su Radio Onda d’Urto, fra le 12.40 e le 14.00. C’era anche David Foster Wallace, lì. Eccola.

Da poco è uscito un libro di Mario Fortunato, che si intitola Quelli che ami non muoiono. Non conosco Mario Fortunato, ma a quanto mi dicono è un bravo giornalista. Credo però che il suo titolo dica una menzogna. Quelli che ami non muoiono, dice. David Foster Wallace, uno scrittore americano, è stato trovato qualche giorno fa impiccato con una cintura ai rami di un albero del suo giardino, in California. Io lo amavo, credo, però è morto lo stesso.
Anche Kurt Vonnegut era uno scrittore americano, e anche lui è morto, un anno e mezzo fa, e amavo anche lui: ma con Kurt è diverso, perché come forse ricordare lo sento al telefono, io, Vincenzo Latronico, grazie a un apparecchio di sua invenzione, lo Hooligan.. Forse vi ricordate di me, e di lui, ci siamo sentiti settimana scorsa. Anche questa settimana ci siamo sentiti, attraverso lo Hooligan, in contatto con l’aldilà dal mio monolocale in periferia a Milano come inviato per Radio Onda d’Urto. Mi ha detto che da quelle parti c’è stato un po’ di casino per l’arrivo di Haider, ma se ne parlerà in futuro.
Insomma: Kurt era nella folla che attendeva David Foster Wallace, quel giorno, abbastanza alto da scorgere in lontananza la bandana di David. Sbandierava al vento come un mantello! Vonnegut mi ha detto che lo immaginava più magro, ma per il resto corrispondeva alle foto delle copertine. Quando lo ha visto, David è corso subito da lui, anche perché era circondato da ragazze splendide. Appena lo ha raggiunto, ha chiesto a Kurt se aveva letto i suoi romanzi. “Sì, ma Infinite est non l’ho finito”, ha risposto Kurt. “Sei un bravo ragazzo, ma le tue frasi sono troppo lunghe.”
David ci è rimasto un po’ male. Non era di ottimo umore. “Ti sbagli”, ha risposto poi. “Le mie frasi più belle sono quelle corte. Ne ho scritte almeno due che sono davvero splendide”.
Poi hanno parlato di quello che aveva fatto. “È stato un errore”, ha detto Kurt. “Era tutto bellissimo, sai”. David ha detto che anche qui sbagliava, e si è allontanato, perché in fondo scorgeva anice oplin.
Io non so cosa pensasse David Foster Wallace del suicidio, mi ha confessato poi Kurt. Ma in un suo romanzo dice questo:
La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme.
La variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme.

Kurt non ha fatto in tempo a chiedergli com’erano le fiamme, ma di certo erano molto calde.

Alla fine della telefonata, ci siamo chiesti per un po’ quali erano le due frasi. Kurt non ne aveva idea, secondo lui era una battuta. Io gli ho proposto le mie.

La prima viene dal suo primo romanzo, La scopa del sistema. È stata scelta anche per la quarta di copertina dell’edizione italiana. Ecco cosa dice: Mi manca chiunque, dice. David Foster Wallace la mette in bocca al suo protagonista, Rick Vigorous, che dice alla sua donna che gli manca chiunque.

La seconda è la fine di un suo racconto. La pronuncia un uomo che ti sta raccontando come lo ha lasciato la sua donna. Non è che lo ha davvero lasciato – lui la dice al lettore quando il lettore capisce che in quel momento lei ha capito di non amarlo più, e lui ha capito che lei lo ha capito, e che è solo questione di tempo. Quel racconto è piaciuto molto anche a Kurt. Si intitola Everything is green. Ad ogni modo, ci sil lettore capisce che lei se ne andrà, e lo capisce anche lui, e lei si chiama Mayfly, che in inglese significa potrebbe volare via. Ecco che cosa dice il protagonista al lettore, alla fine del racconto: Dì il suo nome. Mayfly, dice il lettore.

Dì il suo nome.
David Foster Wallace, 1962-2008.
Qui Vincenzo Latronico, dalla periferia nord di Milano, in collegamento telefonico con Kurt Vonnegut, dall’aldilà.
Ci sentiamo, ciao.

E tu, stai scrivendo qualcosa di nuovo? No.

“Non so cosa dovresti scrivere”, rispose l’Adelchi, che non aveva avvertito lo scherzo, “io direi qualche poema, qualche canto, più che altro, dove si esprima la rivolta dell’oppresso…”
E, a questo punto, vale la pena di accennare a una strana confusione che dominava allora la cultura lombarda, e condizionava perciò l’editoria, su ciò che si deve intendere per oppressione e conseguente rivolta. Sia la prima che la seconda apparivano ai Lombardi, probabilmente in polemica con la minacciosa ideologia marxista, niente più che una faccenda di sentimenti e di libertà di esprimerli, dimenticando che dove non ci sono denari (stante le antiche convenzioni del mondo), o dove il denaro può comprare tutto, dove c’è penuria e ignoranza grande, là neppure i sentimenti, o la voglia di esprimerli, esistono; e, insomma, i Lombardi avevano per certo che un mondo oppresso abbia qualcosa da dire, mentre, se l’oppressione è antica e autentica, l’oppresso non esiste neppure, o non ha coscienza di esserlo, ma solo esiste, sebbene senza una vera coscienza, l’oppressore, che a volte, per vezzo, simula i modi che sarebbero legittimi della vittima, se ancora esistesse.

Nemmeno una trama, uno spunto, un fogliettone?

Ma queste, naturalmente, erano sottigliezze o fisime impossibili da sottoporre alla fame che gli editori mostravano di cose stuzzicanti il languido appetito del pubblico. Simili ragionamenti avrebbero compromesso il ritmo della produzione, dove invece il capovolgimento in termini francamente tradizionali, e perciò rassicuranti, del conflitto cui s’è accennato, allora assai di moda, garantiva approvazioni, eccitamento, simpatie, e quindi vendite, e quindi daccapo! i cari denari.

A. M. Ortese, L’iguana

mucchio selvaggio

ha pubblicato (ormai qualche tempo fa!) una recensione davvero bella di quel libro lì, firmata da Damir Ivic. È questa.

Ginnastica e rivoluzione, di Vincenzo Latronico

E’ solo perché la letteratura è (quasi sempre) un mezzo meno potente del cinema, a livello di riscontro mediatico, e quindi forse Ginnastica e rivoluzione non passerà alla storia e non diventerà il libro da citare ad ogni più sospinto quando si parlerà di determinati argomenti; ma in generale, sappiate che questo romanzo d’esordio del giovane, giovanissimo Vincenzo Latronico (ventitrè anni) vale come qualità e intelligenza e piglio i primi passi cinematografici di Nanni Moretti. C’è infatti la stessa capacità di osservare i miti e riti di sinistra con un misto di lucidità ed affetto, di critica e comprensione. Il tutto chiaramente esercitandosi sul 2008 e non nel 1978. Solo che, capacità di memoria storica o sclerosi della sinistra, molti miti sono rimasti uguali, anzi, noi della contemporaneità siamo messi pure un po’ peggio perché non abbiamo neppure la creatività infantile ma vitale degli anni ’70 bensì dobbiamo direttamente prendere in prestito iconografie sessantottine. Latronico tutto ciò lo descrive benissimo, con una leggerezza solo apparente che è data da un’eccezionale capacità di rendere scorrevole scrittura e dialoghi. Il controllo tecnico sulla trama è sempre ottimo, le digressioni sono sempre funzionali all’insieme. Insomma, un libro veramente bello, capace sia di intrattenere (le trecento pagine volano via in un fiato) che di disegnare un ritratto politico-sociale reale e convincente senza fare né sociologismo, né giovanilismo e risultando tuttavia molto efficace come ritratto sociologico e specchio perfetto di come si muove e pensa una robusta fetta di giovani, quelli che hanno eletto (anche giustamente) a momento fondante il G8 a Genova (Ginnastica e rivoluzione è ambientato temporalmente proprio a ridosso della fine luglio 2001). Interessante infine notare un’ultima cosa: Latronico ha ambientato la sua storia a Parigi. Viene da pensare che in effetti in Italia siamo messi così male che anche i protagonisti italiani di un romanzo scritto da un italiano, se giovani, per essere vitali devono essere sistemati in un posto che sia fuori dai nostri confini.

Damir Ivic

Mai più soli /1

Da lunedì scorso tengo una piccola rubrica su Radio Onda d’Urto, all’interno del programma Flatlandia, dalle 12.40 alle 14. Parlo con l’aldilà, ma non sono un medium. È che ho un amico, lì. Quello che si è detto, lunedì scorso, è questo:

Sono Vincenzo Latronico. Io e Flatlandia ci siamo conosciuti perché ho scritto un romanzo che a loro è piaciuto, intitolato Ginnastica e Rivoluzione. Ne ho parlato qualche volta alla radio, e anche alla festa, qualche settimana fa. Quando ci siamo conosciuti, Chicca mi ha chiesto se avevo qualcosa da dire alla radio, un piccolo box nella sua trasmissione. “Oh, io no”, le ho detto. “Ma conosco qualcuno che ne avrebbe un sacco”.
Quel qualcuno è Kurt Vonnegut, il mio inviato, che ha scritto dei libri meravigliosi, ed è morto due anni fa. Gli ho telefonato con una macchina di sua invenzione, per parlare con l’aldilà. È descritta in Comica Finale, un suo romanzo. È con una riproduzione di quella macchina che mi trovo io, Vincenzo Latronico, oggi, dalla periferia nord di Milano.
State a sentire: l’ho costruita per parlare con lui. C’è stato un periodo in cui Kurt intervistava i defunti alla radio, grazie all’aiuto di un medico eutanasista. Ora l’eutanasia non gli serve più. Ma ho provato a telefonargli nell’altro mondo, e ne è stato molto contento. Gli ho chiesto se voleva fare l’inviato per Radio Onda d’Urto. Le sue interviste con l’aldilà, gli ho detto, erano piaciute molto a tutti: in Italia le ha pubblicate Eleuthera, e la libreria del magazzino 47 ne vende un sacco di copie. Ne ha fatte parecchie, ma le ha dovute interrompere quando il medico che lo aiutava, il dottor Kevorkian, è stato arrestato dalla polizia del Texas perché secondo loro praticando l’eutanasia uccideva le persone.
I poliziotti lo hanno preso proprio mentre trasmetteva un programma con Kurt, e lo hanno incarcerato perché era un assassino. Questo aveva detto il giudice, che voleva dargli la pena di morte.
“Forse me la merito”, aveva risposto Kevorkian al giudice. “Però non sono l’unico. Anche lei è un assassino. Vuole uccidere me”.
Comunque. Le interviste di Kurt si erano interrotte. Ora dovrebbe essere più facile per lui farne delle altre, gli ho detto oggi al telefono, dall’aldilà. Ora quello per lui è l’aldiquà.
Kurt Vonnegut è stato molto contento della mia offerta. Ha detto che dalle sue parti Radio Onda d’Urto si prende solo nei giorni di vento forte, ma quando può la ascolta sempre. E così, dalla prossima settimana andrà in giro a cercare i nuovi arrivati, o i vecchi, e gli chiederà qualcosa per gli ascoltatori. Purtroppo la ricezione, da lì, è pessima, quindi dovrò ripetere io sotto dettatura quello che mi dice. Ha già incontrato alcuni personaggi dei suoi romanzi, e Hitler, e Isaac Asimov, e Sacco e Vanzetti, che passano le giornate a giocare a briscola chiamata con Carlo Giuliani, Lacan e Gengis Khan. Lacan gioca sempre un po’ troppo aggressivo.
Ma di loro, ha detto Kurt, ci parlerà dalla prossima volta, perché ora c’è una questione che gli piacerebbe chiarire. Mi ha detto che gli dispiace molto di essere stato preso poco sul serio, nei suoi romanzi. Moltissime volte aveva scritto chiaramente, nelle prefazioni, cosa voleva che fosse scritto sulla sua tomba. Alla fine, però, è stata diversa. Ecco cosa ci hanno scritto: “L’unica prova che gli serviva dell’esistenza di Dio era la musica”.
“Sì, non è male, questa”, mi ha detto Kurt, prima di riagganciare. “Ma credo che la mia fosse migliore. Se qualcuno degli ascoltatori passa da quelle parti, magari può farla cambiare. Dica che lo mando io”.
Ovviamente raccomandiamo a tutti gli ascoltatori di prendersi a cuore questa faccenda. Per chi abbia qualcosa da chiedere a Kurt, un’intervista in particolare, un’impressione dall’aldilà, ricordiamo che questa trasmissione ha un blog, quikurt.wordpress.com. Il tempo qui a Milano è poco interessante, da quelle parti pare invece che sia stupendo.
Ah, dimenticavo. Ecco cosa aveva chiesto Kurt che si scrivesse sulla sua lapide: È stato bellissimo. Nulla mi ha ferito.

Qui Vincenzo Latronico, al telefono con Kurt Vonnegut, dall’aldilà. Alla prossima.

a nessuno.

“…e non è neanche più il vecchio refrain del pessimismo della ragione e dell’ottimismo del cuore, perché anche il cuore ormai è pessimista, e allora si vede che questa irriducibilità avrà sede in qualche altro organo che ancora non sappiamo che esiste, al quale nessuno ha ancora dato un nome.”

e ancora:

“…ma mi pare che rapportare l’altezza del pulpito al diritto o meno di parlarci sopra sia rischioso per tutti. E poi chi stabilisce l’altezza canonica di questi pulpiti, oltre la quale si ha il diritto di esprimere le proprie idee? Su quali basi? Per quale auctoritas? Chi decide gli argomenti, i tempi, i modi e il galateo più appropriato per affrontarli? Quale corporazione? Quale casta? Come facciamo a riconoscerla? Che copricapo deve avere in testa? Come deve essere abbigliata?”

Antonio Moresco, Lettere a nessuno, Einaudi.

Anarchico? Altroché!

O, è uscita una raccolta di scritti di Max Beerbohm, in cui si parla, fra l’altro, di dandy e svizzeri, e cipria, e elezioni, e satira, e l’ho tradotto e curato io. Ci sono anche delle illustrazioni fantastiche.
Così, un consiglio interessato

Max Beerbohm, Cattiverie Occasionali, excelsior 1881.

qui kurt

Ci sarà una cosa, da lunedì prossimo, su Radio Onda d’Urto, con Kurt Vonnegut! E con me.
Fra le 1230 e le 14.
Così.