Archivi del mese: dicembre 2008

Piuttosto, dimmi di te.

È di David Shrigley, si compra qui.

Notizie di Natale.

Come si dice Ginnastica e rivoluzione in greco?

(Sì, in tutto questo c’è una notizia o un’allusione nascosta. Ma mica troppo.)

Dicono di noi.

Tutto fa brodo. Riprendendo l’autoesame, ammise di essere stato un cattivo marito; e non una volta, ma due. La prima moglie, Daisy, l’aveva proprio trattata da cane. Invece Madeleine, la seconda, era stata lei che aveva tentato di fargliela. Con i suoi due figli, il maschio e la femmina, era stato un padre affettuoso, ma non un buon padre. Nei confronti dei suoi genitori era stato un figlio ingrato. Verso il suo paese un cittadino indifferente. Con i fratelli e la sorella, affezionato, ma distante. Con gli amici, un egoista. In amore, pigro. Nel brio, smorto. Nell’uso del potere, passivo. Nei confronti della propria anima, evasivo.

Sì, eppure, come siamo ancora simpatici, nonostante tutto.

S. Bellow, Herzog.

Mai più soli / 11

Sì, è Natale anche qui. Che ve lo dico a fare.

soli E’ quasi Natale, già! E anche qui a Mai più soli occorre festeggiarlo degnamente, parlando di regali, che in fondo ci sembrano l’aspetto più interessante della faccenda. Secondo Kurt Vonnegut, devono essere della stessa opinione anche i senzatetto di Milano. L’altro ieri, infatti, abbiamo appreso – nella rassegna stampa dell’aldilà – che la protezione civile di Milano ha deciso di fare un regalo ai senzatetto. Un grosso carico di caviale molto pregiato era stato importato in Italia di contrabbando. È stato sequestrato dalle prodi forze dell’ordine, e fino all’altroieri stava marcendo negli scantinati della polizia, insieme a tutte le altre cose sequestrate che a poco o a nulla servono, armi del terrorismo nero, filmati su Genova, cose così. Be’, deve aver pensato qualcuno, regaliamo il caviale ai senzatetto! Organizziamo loro un cenone di Natale! Non potranno che apprezzarlo.
E di certo lo avrebbe apprezzato Andreas, il protagonista della Leggenda del Santo Bevitore, di Joseph Roth. Anche lui era un senzatetto, ma lui è morto, quindi ci è più facile intervistarlo. Kurt gli ha chiesto se avesse mai mangiato del caviale.
“No”, ha risposto lui. “Proprio no. Ma di certo se lo avessi mangiato sarei stato una persona migliore, più elegante e raffinata. Sono felice che i miei colleghi di Milano abbiano avuto questa possibilità di ascesa sociale. Spero solo”, ha proseguito Andreas, “spero solo che l’attività della polizia si intensifichi. Non sarebbe male se l’anno prossimo la protezione civile distribuisse ai senzatetto altri contenuti degli scantinati della polizia di Milano. Cocaina, chessò, oppure i verbali dell’interrogatorio di quell’anarchico distratto. Sarebbe un’ottima lettura di Natale, già.”
Ad ogni modo. Kurt avrebbe voluto fargli altre domande, ma Andreas ha detto che aveva da fare. “Stiamo preparando una grande festa di benvenuto”, gli ha piegato. All’inizio dell’inverno, soprattutto sotto Natale, si concentrano i charter che dal nord Italia convogliano i suoi colleghi lassù, fra le braccia di Janice Joplin. Arrivano a drappelli, a bande, senza neppure avere il tempo per scrollarsi la neve dai capelli. Ogni anno Andreas li aspetta, offrendo loro un piatto di caviale, una stretta di mano calda. Le loro mani, di solito, sono blu e avorio.
“Quest’anno, poi”, ha detto Andreas, “la festa sarà ancora più grande, perché dovrebbe unirsi al benvenuto a una certa Eluana.” Andreas non sapeva chi fosse questa Eluana: glielo ha spiegato Kurt, e lui ne ha concluso che dovrebbe essere una persona importante, vista tutta la fatica che stanno facendo, dalle nostre parti, per tenersela. “Già, non so come ha fatto, Eluana, a convincerli a fare così tanto per tenerla in vita”, ha commentato. “Ma vorrei capirlo, consigliarlo ai miei colleghi senzatetto. Forse, se anche loro ottenessero da un tribunale l’autorizzazione a morire, riuscirebbero a trovare qualcuno che voglia impedire alle loro mani di diventare blu e avorio, le notti d’inverno.”
Già. Comunque è Natale, qualunque cosa sia, e qui a Mai più soli abbiamo deciso di fare un regalo a Kurt, che se lo merita. E il regalo è questo: gli leggeremo il testo che più ama al mondo. E’ un pezzo del Vangelo: è il discorso della montagna. Kurt non è mai stato religioso, mi ha spiegato. Però, ha detto poi, il discorso della Montagna è l’unica cosa che lo fa sentire fiero di essere una persona. Altrimenti, ha detto, avrei preferito essere un sasso, o un serpente.

Ed ecco che cosa dice il discorso della montagna.
Dice che bisogna mettersi dalla parte dei poveri.
Dice che bisogna mettersi dalla parte degli afflitti.
Dice che bisogna mettersi dalla parte dei miti.
Dice che chi ha fame e sete di giustizia sarà saziato.
Dice che gli operatori di pace riusciranno a portare la pace.
Dice che i perseguitati per causa della giustizia troveranno respiro e libertà.
Dice che non bisogna sottovalutare gli insultati, i perseguitati, i calunniati. Dice che potreste trovarvi anche voi ad essere insultati, perseguitati, e calunniati, e che in quel momento sareste il sale della terra; senza, non ci sarebbe sapore.

Sono sempre stato incantato, ha scritto Kurt, dal Discorso della Montagna. La compassione mi è sempre sembrata l’unica buona idea che noi umani siamo riusciti a farci venire finora. Forse prima o poi riusciremo a trovarne un’altra. Quel giorno, avremo due buone idee.

Ah, il discorso, più avanti, dice anche questo: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non ammassano le loro ricchezze. Pensate di contare più di loro?”

Ecco. Qui Vincenzo Latronico, dalla periferia nord di Milano, al telefono con Kurt Vonnegut, dall’aldilà. Buone idee.

Leggi come mangi

Mangialibri mi ha intervistato, qui. Questa rassegna stampa ha una forma sempre più informe, ne convengo.

Mai più soli / 10

Qui pioveva, lunedì.

soliUna delle più interessanti storie della Genesi è quella di come Lot si sia salvato dalla distruzione di Sodoma. Lot, dopo un lungo viaggio al fianco di Abramo, aveva litigato con lui. Il motivo del loro litigio era che possedevano troppe bestie, non potevano stare nello stesso territorio. Anche allora, funzionava così. E Lot se n’è andato e si è trasferito a Sodoma. Quando il signore degli eserciti decide di distruggere la città, perché fulcro del peccato, è proprio a casa di Lot che si fermano, per la notte, i due angeli sterminatori. Si va a letto presto prima di devastare le città. Dopo un po’ che gli angeli riposano a casa sua, tutto il paese accorre all’uscio, chiedendo di poter abusare di loro. Lot, per rispettare l’ospitalità, tenta di fermarli. Ecco che cosa dice: “Vi prego, fratelli miei, non fate questo male! Ecco, ho due figlie che non hanno conosciuto uomo: lasciate che io ve le conduca fuori, e voi farete di loro quel che vi piacerà; ma non fate nulla a questi uomini”. È per questo che gli angeli decidono di salvarlo.
Comunque. Lot scappa, portandosi appresso la moglie ed i figli. Prima di fuggire, il signore lo avverte: non dovrà voltarsi a guardare indietro, altrimenti si trasformerà in una statua di sale. Sulla via del ritorno, mentre alle loro spalle nel cielo già sfrigolano i lapilli ed i fulmini, la moglie di Lot ha un ripensamento. Nessuno sa che cosa deve aver pensato, e la bibbia non lo dice: ma forse deve essersi detta che quel luogo di peccatori era il suo luogo di peccatori, e che nessun luogo merita di essere distrutto così, ad occhi chiusi. La moglie di Lot si è voltata, ed è diventata una statua di sale. Lot, no.
E sì, è con Lot e sua moglie che parleremo oggi, qui a Mai più soli, insieme a Kurt Vonnegut. Kurt conosceva già la moglie di Lot. Ecco che cosa ne ha scritto, nel primo capitolo di Mattatoio n. 5: “
Era gente spregevole, quella di Sodoma e Gomorra. Il mondo stava meglio senza di loro. E alla moglie di Lot, naturalmente, fu detto di non voltarsi indietro a guardare il luogo dove prima c’era tutta quella gente con le sue case. Lei invece si voltò”, ha scritto Kurt, “e per questo la amo.”
Kurt ha cercato di far parlare la moglie di Lot della sua decisione, chiederle il perché. L’aveva già vista, un paio di volte, confabulare con Isaac Asimov e Marco Aurelio, in un angolino. Ma non sapeva come chiamarla, perché non aveva un nome. Forse ai tempi usava così.
Le si è avvicinato, in un momento in cui era distratta. “Ciao”, le ha detto, posandole una mano sulla spalla. Non sembrava fatta di sale, mi ha confidato poi Kurt. Sembrava fatta di persona.
“Ciao”, ha detto la moglie di Lot.
“Ciao”, ha ripetuto Kurt. “Come ti chiami?”
“Non lo so”, ha fatto lei. “Non ho un nome. Ai tempi, usava così.”
“Capisco. Posso dartelo io, se vuoi. Che ne diresti di Lorenza?”
“Mi piace”, ha detto lei.
“Bene, allora. Piacere, io sono un tuo fan. Mi chiamo Kurt”, ha detto Kurt.
“Piacere, Lorenza”, ha detto Lorenza. È così che Radio Onda d’Urto ha avuto diritto ad un’intervista con Lorenza, la moglie di Lot.

Lorenza ha detto a Kurt di non averci pensato su granché, prima di voltarsi. Sono cose che si fanno, ha detto. “No, davvero”, ha confermato, allo sguardo silenzioso di Kurt. “Certo, ora ho avuto un sacco di tempo per pensarci, potrei tirare fuori ogni sorta di ragionamento elaborato a giustificare la mia decisione. Magari era che credevo che la punizione fosse uno scherzo. Magari era che avevo paura di aver scordato i gioielli. Magari era che non volevo che la mia casa finisse così, a spalle voltate. Ma in realtà,” ha detto Lorenza, “in realtà no. Era casa mia. Ero abituata a guardarla. L’ho fatto anche quella sera. È proprio così che è andata.”
Kurt ha poi chiesto a Lorenza un dettaglio di cui la bibbia non parla. Infatti, se Lot si fosse voltato a controllare se lei lo seguiva, sarebbe diventato anche lui una statua di sale. “Bisogna quindi credere”, le ha chiesto Kurt, “che Lot si sia accorto che non c’eri solo alla fine, una volta giunti in salvo? Che ha camminato tutta la notte da solo, convinto di averti dietro?”
Lorenza è sembrata interdetta. “No”, ha detto poi. “No, no, ti sbagli. Andavo avanti io. Lui mi ha vista mentre mi giravo.”
“E che faccia”, le ha chiesto Kurt, “che faccia ha fatto, tuo marito, quando ti ha vista voltarti? Quando ha capito che ti saresti trasformata in una statua di sale?”
“Oh, non lo so”, ha risposto Lorenza. “Sai, guardavo la città, non lui. C’era buio. E poi, non mi sono presa la briga di dedicargli neppure uno sguardo. Sai, Kurt”, ha proseguito dopo una breve pausa, accarezzandosi una spalla, “Sai, ora che ci penso, ero convinta di mancare solo io. Ero certa che lui si fosse già voltato da un pezzo.”
No, Lot non si è voltato, è sopravvissuto, e poi si è ubriacato ed è andato a letto con entrambe le sue figlie. Ma questo a Lorenza Kurt non lo  ha detto, sembrava già abbastanza scossa.
“Un’ultima cosa”, le ha chiesto poi. “Un’ultima curiosità, Lorenza. Mi chiedevo – cioè – che cosa hai visto? Com’è? Com’è una città rasa al suolo dalla collera del signore degli eserciti?”
Lorenza è stata in silenzio per un po’. Sembrava quasi delusa. “Oh, non è granché. Un sacco di polvere, delle gru, un cartello fosforescente con scritto Vendonsi – di nuova costruzione. No, davvero. Non è un grande spettacolo. È così.”
Alla fine Kurt non si è trattenuto, le ha dato un bacio, sulla guancia, ed è corso allo Hooligan a trasmettermi l’intervista, per non dimenticare niente. È stato un bacio molto intenso, mi ha detto poi.

Sì, sapeva di sale, mi ha detto inoltre. Ma anche alcune altre cose sanno di sale.

Ecco. Qui Vincenzo Latronico, da Milano, al telefono con Kurt Vonnegut, dall’aldilà. E inoltre, Lorenza.

Mai più soli! / 9

Mi sono stufato di cercare un cappello interessante per i post con le puntate di mai più soli, quindi smetto. Questa è andata in onda lunedì scorso. Oh.


soliE sì, siamo di nuovo a Mai più soli, il nostro collegamento settimanale con l’aldilà. Se ricordate, la scorsa settimana il maltempo aveva messo fuori uso l’accelleratore di particelle di Radio Onda d’Urto. Certi contatti con la Svizzera ci hanno permesso di ripristinarlo, e di ricollegarci con Kurt Vonnegut, il nostro agente laggiù. Kurt ci ha fatto sapere che nel frattempo è successa una confusione infernale, dalle sue parti!
Se ricordate, infatti, la scorsa settimana avevamo trasmesso un’intervista ad Adolf Hitler, fatta dallo stesso Kurt quando era solo quasi-morto. Credevamo di non offendere la sensibilità di nessuno. Ci siamo sbagliati. Non appena è terminata la puntata, Kurt, che ancora si stava fregando le mani di fronte a Janis Joplin, facendole notare che da giovane era proprio bravo – Kurt, insomma, alla fine dell’intervista con Hitler ha ricevuto un cablogramma. Ecco cosa diceva:

Caro Kurt,
vorrei attirare la tua attenzione sulla rinnovata mancanza di rispetto – e violazione della par condicio – di cui ha dato prova il tuo programma. La prima volta passi, ai tempi avevo ben altro a cui pensare. Ma mi sembra davvero scorretto mandare di nuovo quell’intervista ad Adolf senza neppure chiedermi un commento a caldo.
In attesa di un rimedio, resto il tuo affezionato ascoltatore,

Giuseppe Stalin

Kurt si è un po’ rabbuiato. C’era da aspettarselo, quello lì, con le sue manie di protagonismo. Che poi, mi ha detto Kurt, ormai vengono nominati sempre in coppia, no? Hitler e Stalin, nazismo e comunismo, e tutti gli orrori del, eccetera. Magari poteva chiederglielo, chissà.
Comunque. Con un sospiro Kurt ha allontanato un altro Kurt, quello biondo, che voleva intervistare per la prossima puntata chiedendogli cosa pensasse dell’Ambrogino d’oro, e di Daniel Johnston. Si è scusato, gli ha detto che la prossima volta toccherà senz’altro a lui, se non ci sono altri contrattempi. Dopo la faccenda di Haider Kurt è molto attento a non urtare la sensibilità degli ospiti. “Oh, nevermind”, gli ha risposto l’altro, ed è tornato a lavorare al nuovo album con Ciro di Pers. E così sia.
E quindi siamo con un altro ospite d’onore, questa volta, a Mai più soli! Giuseppe Stalin, all’italiana, che ci piace di più. E proprio di Italia abbiamo parlato con Giuseppe. “Sai, è per una radio italiana”, gli ha detto Kurt.
“Ah, l’Italia, un grande Paese!”, si è infervorato Giuseppe. “Con un grandissimo partito comunista!”
Kurt ha dovuto sedare i suoi ardori. “Sai, le cose si sono un po’ evolute, ultimamente. Non ci sono comunisti in Parlamento, in Italia.”
“Davvero? Vuoi dire che hanno già abolito l’illusione borghese della democrazia rappresentativa, hanno già chiuso il Parlamento? Lo stato democratico si è già estinto?”
Kurt ha esitato un attimo. “Be’, non proprio. Anche se la strada è quella.”
“Ottimo, ottimo”, si è complimentato Giuseppe. Poi gli ha chiesto se il comunismo allo stadio evoluto riusciva a resistere alle tentazioni frazioniste, gruppettare, che lui ha passato la vita a combattere. Kurt gli ha detto che non proprio, no. “Be’, sai”, ha concluso Giuseppe, “con tutto il tempo che è passato, posso dirti che sono giunto alla conclusione che è quasi naturale. Sì, un grande partito di massa non può non generare tendenze mensceviche, avanguardie scontente, sfilacciamenti. Sai”, ha detto con un sospiro, “credo che Karl abbia sbagliato alcune previsioni sulla natura umana. Trovi sempre un pugno di scontenti. È il prezzo da pagare per avere un forte e solido partito comunista al governo.”
“Be’, lo stiamo pagando tutto”, ha commentato Kurt, e poi è stato in silenzio per un po’.
Poi Kurt gli ha chiesto se non gli dava fastidio essere sempre associato a Hitler. “In fondo”, gli ha detto, “tu stesso mi hai scritto il cablogramma perché ti sei sentito tagliato fuori. In moltissime conversazioni, nel linguaggio giornalistico, divulgativo, ormai siete quasi una parola sola, Hitler-e-Stalin, comunismo-e-nazismo. Non ti dà fastidio? Non ti sembra che ci sia qualcosa di sbagliato?”
“Mah”, ha risposto Giuseppe. Anche lui avrebbe amato un po’ più di distinguo, un po’ più di attenzione. Ma la gente è frettolosa, il capitalismo li stanca. Sia lui che Adolf hanno fatto un sacco di danni, e la gente li ricorda per questo. “Non è colpa loro”, ha detto poi Giuseppe. “Non è poi fondamentale distinguere le malvagità commesse per sterminare un popolo e conquistare il mondo, da quelle commesse in nome dell’idea che dovremmo essere tutti uguali.”
Già. Prima di salutarlo, Kurt ha chiesto a Giuseppe se amava la letteratura italiana. “In fondo, sai, questa è una trasmissione letteraria”, gli ha detto. Giuseppe ha detto che sì, gli piaceva parecchio, ma da una trentina d’anni era fermo alla stessa pagina dello stesso libro: il Brigante, di Giuseppe Berto. “Sai, Kurt”, gli ha spiegato Giuseppe, “la leggo, e la rileggo, ma proprio non capisco come andare avanti. No, non lo capisco proprio.”
“Oh, capita anche a me”, lo ha rassicurato Kurt, e l’intervista è finita così, con un pronome.
Ovviamente, cinque minuti dopo io e Kurt eravamo intenti a compulsare il libro di Berto per scoprire quale fosse la pagina su cui si era fermato Stalin, quella che non capiva. Ne abbiamo discusso un po’, e poi l’abbiamo trovata. Dice così:

Nelle coscienze di alcuni, e nell’inconscio di molti, si stava facendo strada quel dubbio che è, e sarà sempre più, il motivo di disperazione del nostro tempo, il sospetto terribile che neppure dal marxismo l’uomo possa aspettarsi felicità e giustizia.

Ed eccoci qui: Vincenzo Latronico, dalla periferia nord di Milano, in collegamento con Kurt Vonnegut e Giuseppe Stalin, dall’aldilà. Felicità e giustizia.

Mai più soli / 8

La scorsa settimana è stata un po’ confusa, fra le grandi nevicate e una certa cosa che è successa in una certa stanza del centro di Milano, lunedì. E fra tutte quelle confusioni si è rotto lo Hooligan, la mia linea diretta con Kurt Vonnegut, e ci siamo dovuti rassegnare a mandare una replica di alcuni anni fa. Eccola.

soliCiao a tutti, e bentornati a Mai più soli, il quadratino di Flatlandia in cui Kurt Vonnegut ci guida nell’aldilà grazie a un telefono di sua invenzione, lo Hooligan. Come forse ricordate, lo Hooligan si compone di un cestino per la colazione, un armadietto metallico, un tubo di terracotta e un acceleratore di particelle. Ecco, questa settimana si è rotto. La neve ha creato problemi su in Svizzera, dove Radio Onda d’Urto conserva il suo acceleratore di particelle. Qualcosa è andato storto, insomma, e non sono riuscito a telefonare a Kurt. Sono riuscito solo a mandargli un SMS, chiedendogli cosa fare per la puntata di lunedì.
“Usa una delle mie. Ne ho fatte tante, e i morti sono ancora morti.” Kurt si riferiva alla prima serie di interviste con l’aldilà che ha curato, per una radio di New York. In Italia sono raccolte in un libro splendido, intitolato Dio la benedica, dottor Kevorkian. E insomma, è una di quelle interviste che manderemo oggi, in differita. Ci auguriamo che i lettori la trovino di attualità nonostante il tempo passato. I morti, come ha detto Kurt, sono ancora morti.

Bene, ecco allora la decima intervista di Kurt. Andava così.

Il dottor Kevorkian mi ha appena slegato dalla lettiga dopo un’altra esperienza di quasi morte, ha detto Kurt. Durante questo viaggio ho avuto la fortuna di intervistare nientepopodimeno che il defunto Adolf Hitler.
Mi ha soddisfatto sapere che oggi è pieno di rimorsi per tutte le sue azioni che possano, anche indirettamente, aver avuto qualcosa a che fare con la morte violenta di trentacinque milioni di persone durante la seconda guerra mondiale. Lui e la sua amante, Eva Braun, sono stati, ovviamente, tra le vittime, insieme a quattro milioni di altri tedeschi, sei milioni di ebrei, diciotto milioni di cittadini dell’Unione Sovietica, eccetera.
“Ho pagato il mio debito insieme a tutti gli altri”, ha detto.
La speranza di Hitler, ha detto poi Kurt, è che un giorno possa erigersi in qualche posto un modesto monumento – magari una croce di pietra, perché era cristiano – alla sua memoria, e magari proprio là dove, a New York, sorge il palazzo delle Nazioni Unite. Vi si dovrebbero incidere, mi ha detto, il suo nome e le date 1889-1945. Sotto ci dovrebbe essere una frase in tedesco, di due parole: “Entschuldigen Sie”.
Tradotto, alla buona, significa “Scusatemi”.

Qui Vincenzo Latronico, da Milano, in collegamento con Kurt Vonnegut, in differità dall’aldilà. Sì, ancora la neve.